Congedi parentali e smart working: quando la pezza è peggio del buco
Lo scorso 8 marzo USB ha scritto alla Funzione Pubblica denunciando pubblicamente il vuoto normativo sui congedi parentali scaduti al 31 dicembre 2020 e l’assenza di misure a sostegno delle famiglie alla luce della chiusura delle scuole (comprese quelle dell’infanzia), chiedendo l’estensione retroattiva dei congedi al 100% senza vincoli legati alle modalità di svolgimento dell’attività. Il Decreto Sostegno interviene con plateale ritardo a colmare il vergognoso vuoto normativo da noi denunciato ma allo stesso tempo realizza una pericolosissima operazione: istituzionalizza un principio di diritto che scarica completamente il costo collettivo legato alla chiusura delle scuole sulle spalle dei genitori, e, c’è da scommettere, soprattutto sulle spalle delle donne.
Il congedo, infatti, oltre a non essere corrisposto a retribuzione piena è a tutti gli effetti un diritto soggettivamente condizionato al fatto che entrambi i genitori non possano svolgere lo smart working, che passa da sindrome del divano a soluzione di ogni male e piano B pronto per tutte le stagioni, specie quando si tratta di trovare soluzioni a costo zero.
Il tutto condito da un addio al bonus babysitter per i quattro-quinti del mondo del lavoro sancendo in questo modo l’ennesima gerarchia dei diritti e logica dell’elemosina.
Chi ha scritto queste norme sa cosa vuol dire lavorare con la pressione del cottimo tipica dello smart working (se così si può chiamare) deregolamentato e contemporaneamente stare collegati, scansionare documenti, preparare lezioni, rispondere alle chat dei genitori che dall’oggi al domani hanno dovuto conoscere tutto l’alfabeto della digitalizzazione?
Chi ha scritto questo Decreto è sicuro che il genitore abbia un computer dedicato per la DAD e uno per lo smart? È sicuro che la banda larga non sia stretta e che la casa abbia abbastanza spazi da consentire connessioni e concentrazione? No, probabilmente non lo sa ma si riempie la bocca di proclami reboanti sulle donne e la parità di genere, come ha fatto Draghi in occasione dell’8 marzo.
Come avevamo profetizzato, dietro la retorica della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, lo smart working è diventato una vera e propria trappola per chi ha la cura dei figli e degli anziani, un ciclo continuo che si interrompe solo nelle ore di sonno.
Non sarà che l’imperativo del telelavoro, della scuola a casa, dell’home-office, sta portando al massimo livello l’esigenza di produttività di questa casa-fabbrica che funziona tutti i giorni della settimana e senza limiti di orario? Chi ci assicura che, una volta passata l’emergenza sanitaria, questa offensiva sulla flessibilità del lavoro, che atomizza i lavoratori e le lavoratrici precarizzandoli ulteriormente, faccia un passo indietro?
Lo Stato Sociale minimizza i suoi costi: noi, lavoratrici e lavoratori paghiamo l’affitto e i servizi del “nostro” luogo di lavoro. E allora ecco che una scelta come quella fatta sui congedi parentali va denunciata in tutta la sua ferocia di normalizzazione dell’ennesimo carico di lavoro a costo zero.