La toccante lettera di una nostra collega contagiata dal virus
Ognuno di noi potrà riconoscersi con un crescendo di commozione e rabbia in tutto quello che descrive la nostra collega del Ministero contagiata dal virus.
“LA GIUSTIZIA NON PUO’ ESSERE NEGATA,
MA LA SALUTE DEI SUOI LAVORATORI SI !”
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Non riesco a dormire……. Sarà il cortisone, sarà quello che ho vissuto, che sto vivendo, che stiamo vivendo, non lo so…….
Allora penso di bloccare sulla carta quello che c’è stato in questo periodo e quello che stiamo ancora vedendo.
Siamo rientrati a settembre dopo le ferie tutti insieme al lavoro. La pandemia sembrava essersene andata e questo un po’ per tutti. I dati facevano ben sperare che fossimo quasi fuori da quello che in primavera era stato un incubo per tutti.
Purtroppo non era così.
Piano piano i numeri dei contagiati hanno ricominciato a salire e con essi è ricominciata la PAURA
Si ricomincia a parlare di sw ma solo a parlare.
Si ricomincia a chiedere di poter fare un po’ di smart working, a chiedere di poter utilizzare il più possibile strumenti per lavorare da remoto, pc, sistemi operativi.
Niente, non si può, l’Amministrazione al momento ha necessità di personale in presenza perché c’è tanto lavoro e non ci possiamo permettere di lavorare da remoto.
Quindi riprendiamo come se niente fosse la nostra preziosa attività lavorativa stando tutti insieme “appassionatamente” anche in quattro in una stanza.
Da parte nostra ovviamente con tutte le dovute cautele: mascherine, distanziamento, finestra aperta ma pur sempre per almeno 8 ore insieme. Almeno per bere o per mangiare qualcosa, pur sempre a distanza, la mascherina bisogna toglierla per forza.
In bagno bisogna pur andarci. Altra nota dolente……..
Servizi igienici in condizioni disarmanti, spesso non utilizzabili e ad uso di tutto il personale interno ed ESTERNO.
Iniziano tante voci, ma solo voci perché le notizie non devono trapelare ufficialmente, di qualche caso di positività al COVID al primo piano, al terzo, al quarto ma NON SI DEVE SAPERE………………..
Ogni tanto qualche “sanificazione” qua e là ma tutto IN SILENZIO……………….
Poi il 17 ottobre iniziano i brividi di freddo, dolori articolari, un po’ di febbre. Cerco di far finta di niente, un po’ di influenza ma la paura è tanta perché quelle voci sono reali ed i casi di Covid al Ministero sono reali.
Quindi fidandomi del mio istinto chiamo il numero verde della Regione Lazio, visto che il mio medico curante non mi risponde al cellulare, e spiego la situazione dicendo che sono stata insieme ad una mia amica che ha poi scoperto di essere positiva al Covid . Sono stata nella sua stanza ma comunque sempre attenta ad indossare la mascherina ed attenendomi sempre alle distanze raccomandante.
Ma non è solo lei, al Ministero i focolai sono ormai tanti per cui lei o qualcun altro potrebbe avermi trasmesso il virus.
Vengo posta in isolamento nella mia camera da letto.
I sintomi sono fortunatamente abbastanza lievi ma dopo pochi giorni inizio a non avere l’olfatto, segno quasi inequivocabile di positività al Covid. Inizio il cortisone e il venerdi 23 ottobre vado a fare il tampone molecolare. Attendo una settimana piena di angoscia, con crisi di panico che scaturiscono anche mancanza di respiro e quindi altra angoscia.
Il 30 ottobre, dopo ben 8 giorni dal tampone molecolare e dopo due settimane di isolamento nella mia camera da letto, arriva la telefonata del SISP che mi avvisa della mia positività e quindi del proseguimento dell’isolamento. Ok. Rimango ancora chiusa, pazienza.
Avviso tempestivamente l’ufficio e faccio la comunicazione alla Asl RM1 e all’unità di crisi.
Sabato 31 ottobre però mi accorgo di qualcosa di strano. Ho qualche livido addosso e questa cosa non mi piace.
Lo scorso anno ho sofferto di piastrinopenia autoimmune. Chiamo un servizio privato e mi faccio fare un emocromo. Fortunatamente, nonostante la mia positività al Covid, sono venuti comunque.
Contatto la mia ematologa e le illustro il mio sospetto.
Arriva l’esito nel primo pomeriggio: PIASTRINE A 2000 (Valori normali tra 150.000 e 450.000).
RISCHIO EMORRAGIE.
La mia ematologa spera di potermi curare a casa ma, sentita l’equipe, purtroppo mi comunica che è necessario il ricovero ospedaliero.
Mi reco quindi al Policlinico Umberto I, dove ero già stata in cura l’anno precedente, ma al Pronto soccorso generale perché all’Ematologia non c’è il reparto Covid.
Mi faccio forza, devo farmi forza, non riesco però a non versare un paio di lacrime prima di entrare. MA MI FACCIO FORZA anche perché mio marito mi guarda con lo sguardo spaventato e DEVO FARMI FORZA.
Entro, solita routine, spiego tutto ciò che mi è successo. Nuovo tampone, nuovo emocromo.
Vengo parcheggiata in sala d’attesa insieme ad altri positivi al Covid.
E LI’ SEI SOLO PERCHE’ CON I MALATI DI COVID NON PUO’ STARE NESSUNO. SEI SOLO!!!!
Dopo gli accertamenti mi vengono a prendere e mi dicono che mi avrebbero portato nella sala del pronto soccorso covid. Cercano di prepararmi psicologicamente a quello che avrei visto di lì a poco.
Entro nella grande sala, vedo tante lettighe, tante persone che soffrono, tante mascherine dell’ossigeno, tanti caschi con l’ossigeno, tante persone che si lamentano, che chiedono acqua perché sono sdraiate, nude, sulla lettiga e non si possono muovere. Gli infermieri che si muovono freneticamente tra uno e l’altro e cercano di fare il possibile ma non sempre riescono ad aiutare tutti.
Mi parcheggiano vicino ad un signore con il casco dell’ossigeno, nudo, col pannolone. Cerco di non guardare…….
Davanti a me una saletta dove non riesco a vedere dentro. Dopo poco arrivano due barellieri, mi sembra con una specie di bara ma non ci voglio credere…… Vedo che entrano davanti a me in quella saletta, si muovono là dentro, riempiono quella bara ed escono con la bara con sopra una busta di panni di un poverino o una poverina deceduta. MI FACCIO FORZA. DEVO FARMI FORZA.
Inizia la terapia di immunoglobuline per far rialzare i valori delle mie piastrine. Tento di chiudere gli occhi e di riposare. Quasi impossibile, è un continuo via vai. Chiedo un cuscino ma l’infermiera mi guarda come se le avessi chiesto un milione di euro per cui cerco di mettere il mio giubbotto sotto al collo per stare un po’ meglio.
Arriva la mattina e finisco le flebo di immunoglobuline, tentano di spostarmi in una saletta per stare un po’ appartata ma servono i posti e vengo riposizionata al centro della sala insieme a tutti gli altri, poi di nuovo in sala d’attesa, poi di nuovo nella sala. Mangio al volo sopra la lettiga.
Tac al torace, elettrocardiogramma, emogas, emocromo, pressione, saturazione ecc. ecc…
Poi, visto che era necessario trattenermi, finalmente mi spostano in un reparto Covid.
Sembra assurdo ma nonostante tutto mi sembra il PARADISO!!!!!
La struttura del Policlinico è vecchia ma sto in una stanza insieme ad una dolce nonnina anche lei ovviamente positiva al Covid.
COME TUTTI LA’ DENTRO. TUTTI “APPESTATI”.
Gli infermieri girano tutti come marziani e solo in determinate ore del giorno.
Non c’è sala infermieri o sala medici come nei reparti “normali”.
QUESTO E’ UN REPARTO COVID. TUTTA UN’ALTRA STORIA!!!
Chiedo di andare in bagno. Apriti cielo!!!
Un unico bagno, per uomini e donne, posto nel corridoio, ad uso di circa 15 pazienti.
Ma tanto siamo tutti positivi al Covid!!!!
Proseguo quindi il mio ricovero consapevole di trovarmi almeno in un ambiente più tranquillo.
Cerco di sforzarmi di non pensare a tutta la sofferenza che ho visto nei giorni precedenti.
Poi la mattina del 2 novembre arriva quel messaggio sul gruppo whatsapp : RAGAZZE…………………
Li’ c’è stato il gelo……………………………………………..
LUCIANA CI HA LASCIATE…………………..
NO, NON CI VOGLIO CREDERE, NON CI POSSO CREDERE. NESSUNO DI NOI CI PUO’ CREDERE.
E invece purtroppo è la realtà.
LUCIANA NON C’E’ PIU’.
Ora scende il gelo, rialzarsi è troppo faticoso. Piango, piango e le mie lacrime si uniscono a quelle di tantissime mie amiche che come me hanno conosciuto la gioia di vivere, le risate, gli abbracci di Luciana.
E allora mista al dolore, inizia la rabbia e la consapevolezza che la nostra adorata Amministrazione, quella per la quale abbiamo giurato fedeltà, orgogliosi di farne parte, in qualche modo ci ha traditi.
NON CI HA PROTETTI.
Ha sottovalutato, ha nascosto, ha messo prima di tutto e prima di noi, della nostra salute, gli OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE!!!!
Intanto con la morte nel cuore la mia permanenza prosegue fino al 5 novembre quando, visto che i valori delle mie piastrine al momento si sono assestati, una ambulanza, a sirene spiegate, mi riporta a casa.
Il mio isolamento nella camera da letto prosegue perché ancora sono positiva con una alta carica virale per cui ancora CONTAGIOSA!!!!
Mi sigillo nella mia camera da letto. MA FINALMENTE SONO A CASA!!!
Sono a casa dove mio marito sta pensando a me e alle mie ragazze. Non sta più lavorando da tre settimane perché deve pensare lui a cucinare, pulire, fare la spesa e a stare con le ragazze. Fortunatamente loro sono tutti negativi.
Sono circondata dall’amore della mia famiglia e da quello dei mie tantissimi amici ed amiche che mi bombardano di telefonate che mi riempiono il cuore di gioia.
MENOMALE!!!
Almeno questo la nostra amata Amministrazione non è riuscito a togliercelo.
L’amore e l’affetto che ognuno di noi lavorando per tanti anni insieme è riuscito a creare, la solidarietà, l’aiuto reciproco non ce lo ha tolto.
Ora sono qui nella mia camera da letto. Proseguo il mio isolamento, proseguo le mie cure ma non dimentico.
Non dimentico nemmeno la mia amica e collega anche lei positiva al Covid che mi racconta di essere stata tanto stanca e di avere pianto perché non ce la faceva né fisicamente né psicologicamente a sostenere la situazione.
Continuo a chiedermi, così come tutti i miei colleghi ed amici, che forse tutto questo poteva essere evitato.
Che la morte di Luciana poteva essere evitata.
Se solo ci avessero ascoltato. Se solo non ci avessero trattati come persone che approfittavano dello smart working per potersene stare a casa a far niente……………..
Ignorando una pandemia che ci sta sovrastando e che ha UCCISO.