USB P.I. - Giustizia scrive alla Ministra Cartabia

Roma -

Gentile Ministra,

da anni si fa un gran parlare della grave crisi in cui versa la giustizia italiana e dei problemi legati al malfunzionamento della stessa.

Questa disfunzione incide negativamente sulla vita dei cittadini tutti ed in particolare sui ceti meno protetti, anche se è l’insieme della società civile a pagarne le conseguenze attraverso l’abbassamento, se non addirittura la negazione, della soglia dei diritti.

L’intero settore è in notevole affanno e a farne le spese sono non solo i cittadini e le imprese, ma l’intero paese visto che i ritardi della giustizia Civile costano oltre l’1 per cento del PIL: circa 22 miliardi di euro.

La USB P.I. – Giustizia, da tempo immemore, evidenzia le poche luci e le molte ombre che riguardano il settore e non a caso già dal 2006 coniò lo slogan: “La Giustizia è morta e anche i cittadini e i lavoratori non stanno tanto bene”.

Le tante, forse troppe, riforme susseguitesi nel tempo sono risultate inefficaci, al punto tale che la Comunità Europea, ancora una volta, ci chiede di intervenire e di ridurre notevolmente i tempi della giustizia.

Ora, tra ciò che ci chiede la Comunità Europea, “la ragionevole durata del processo”, e il racconto immaginifico rappresentato dai vertici del Ministero c’è un abisso.

Una rappresentazione distante anni luce dalla realtà che gli operatori vivono tutti i giorni nei posti di lavoro.

Una realtà fatta di luoghi di lavoro, spesso e volentieri, fatiscenti, insalubri, poco sicuri.

Una realtà in cui i lavoratori, per stare al passo con i tempi e adeguarsi ai nuovi processi lavorativi, hanno dovuto auto formarsi, vista la totale latitanza dei vertici ministeriali.

Vertici ministeriali appartenenti quasi esclusivamente alla magistratura e che tutelano maggiormente le esigenze della loro categoria piuttosto che quelle dei lavoratori giudiziari.

Logica alla quale non sfuggono i contratti integrativi del personale.

La distanza tra il mondo immaginifico rappresentato e la realtà che quotidianamente si vive nei posti di lavoro ci impone di sottolineare che sarebbe bello raccontare che i lavoratori della giustizia sono tutti felici e contenti perché qualcuno ha riconosciuto loro:

  • lo sforzo profuso negli anni per stare dietro a carichi di lavoro sempre più gravosi;
  • la professionalità acquisita nel tempo e mai premiata;
  • la capacità di affrontare e confrontarsi con la rivoluzione digitale che la pandemia ha parossisticamente accelerato in assenza di formazione;
  • lo spirito di sacrificio ed abnegazione messo al servizio del paese nonostante tutto.

 

Sarebbe stato bello raccontare che:

  • il diritto alla carriera del personale giudiziario avesse avuto uno sbocco;
  • l’impegno assunto con gli ausiliari, sfruttati e relegati nella prima area da anni, fosse stato rispettato;
  • gli apicali della seconda area avessero avuto le stesse opportunità dei cancellieri;
  • gli stessi cancellieri fossero da tempo tutti nella terza area;
  • l’amministrazione avesse onorato gli impegni assunti di procedere ai passaggi orizzontali, all’interno delle aree;
  • le aspettative di quanti, da anni, cercano di ricongiungersi ai propri cari fossero state soddisfatte;
  • l’organizzazione del lavoro fosse meno improvvisata;
  • il personale informatico fosse dotato di pianta organica sul territorio e stabilizzato dove opera di fatto da oltre 20 anni;
  • l’immensa quantità di capitale speso per la digitalizzazione della giustizia fosse coinciso con un progetto di ampio respiro atto a produrre sistemi performanti per ridurre i carichi di lavoro e rendere più veloce il processo e non un semplice sperpero di denaro.

Purtroppo nulla di tutto ciò si è tradotto in realtà. Eppure sono questi stessi lavoratori che, nonostante le ingiustizie subite, le frustrazioni patite, la gravissima scopertura di organico, i carichi di lavoro insostenibili, hanno permesso che la barca non affondasse.

E sono sempre questi stessi lavoratori che hanno garantito durante tutta la pandemia i servizi essenziali e non solo, pagando un tributo alto anche in termini di vite umane.

Ecco perché Ministra lo sforzo maggiore chiesto ai dipendenti, questa O.S. lo rivolge a lei chiedendo un suo impegno:

  • nel riconoscere al personale il diritto alla carriera, procedendo senza indugio a riqualificare tutto il personale delle tre Aree;
  • nel rispettare gli accordi e gli impegni assunti;
  • nel garantire la mobilità e la stabilizzazione dei lavoratori;
  • nell’organizzare gli uffici proiettandosi nel futuro pur facendo i conti con il presente;
  • nel valorizzare e premiare l'esperienza acquisita;
  • nel sospendere la performance, i cui criteri sono più che discutibili, in normali condizioni, figuriamoci durante tutto il periodo della pandemia.

Ministra è con grande amarezza che le rappresentiamo la drammatica situazione in cui sono stati costretti ad operare i lavoratori della giustizia.

Lo “sforzo maggiore” quindi servirebbe a sanare, una volta e per sempre, le ingiustizie subite dal personale negli ultimi trent’anni e a tradurre finalmente in fatti le parole di stima da lei espresse sulla professionalità dei dipendenti.

La USB P.I. – Giustizia, per meglio rappresentare le difficoltà in cui versa il personale e il servizio giustizia, le chiede un incontro anche al fine di trovare soluzioni condivise, capaci di contemperare le esigenze dei lavoratori, del paese, dei cittadini.

Nell’attesa le porge il benvenuto e le augura buon lavoro.

 

In allegato la nota inviata